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Santi del 22 Giugno

Il mio Santo > I Santi di Giugno

*Sant'Albano d'Inghilterra - Martire (22 Giugno)

Verolamium (Inghilterra orientale), III secolo - m. 305 c.
Emblema:
Palma
Martirologio Romano: In località Verulam, chiamata poi Saint Albans, in Inghilterra, Sant’Albano, martire, che, come si narra, non ancora battezzato, si consegnò al posto di un sacerdote di passaggio che aveva accolto in casa sua e dal quale era stato istruito nella fede cristiana scambiando con lui la veste; per questo, dopo aver subito percosse e altre atroci torture, morì infine decapitato.
È il primo martire cristiano d’Inghilterra, dove ha prestato servizio nell’esercito romano (e romana è forse la sua origine).
Abita a Verolamium, la città-fortezza costruita dai governatori imperiali nel sud-est dell’Isola, presso il fiume Ver.
Ed è pagano, sicché non ha nulla da temere quando nell’Isola arriva una persecuzione anticristiana, forse quella di Settimio Severo (192-211); piuttosto che quella di Diocleziano (284-305).
Albano un giorno si vede arrivare in casa uno dei perseguitati.
Lo accoglie e lo nasconde.
Poi, parlando con lui arriva dapprima a conoscere meglio la fede dei cristiani, e infine a condividerla: diventa cristiano anche lui proprio nel momento del peggior rischio.
Ma fa anche di più, Albano.
Quando gli entrano in casa i soldati per prendere il cristiano nascosto, lui ne indossa gli abiti e
si fa arrestare al posto suo: "Quello che cercate sono io".
Seguono il processo, la condanna e l’uccisione, sulla riva orientale del Ver.
Sembra inoltre che Albano, prima di morire, abbia convertito anche uno dei carnefici.
Sul luogo di supplizio, cessate le persecuzioni, viene poi eretto un martyrium, come si chiamavano monumenti e santuari innalzati sulle tombe dei martiri.
E lì, intorno all’anno 429, arriva in pellegrinaggio il vescovo Germano di Auxerre (Gallia), che riporta in patria un po’ di terra raccolta sul luogo del martirio.
Ma nello stesso V secolo la Britannia, abbandonata dalle truppe romane, viene invasa da tribù germaniche (Angli, Sassoni, Juti) che cancellano l’ordinamento romano e disperdono la prima organizzazione cristiana.
La rievangelizzazione dell’Isola comincia al tempo di papa Gregorio Magno (590-604).
E così riprende vigore il culto per Albano come santo e martire, testimone della fede in Cristo e dell’amore fraterno.
Sul luogo del martirio viene fondata un’abbazia, intorno alla quale col tempo nasce un borgo, costruito con le pietre della diroccata Verolamium.
Infine il borgo si trasforma in città, che porta oggi il suo nome: Saint Albans, a nord dell’area metropolitana di Londra, con la splendida cattedrale dedicata a lui.
La Chiesa cattolica lo festeggia il 22 giugno e quella anglicana il 17; ma pare che ciò sia dovuto a un errore di scrittura: un antico copista avrebbe scambiato il numero romano XXII per un XVII.  

(Autore: Domenico Agasso - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Albano d'Inghilterra, pregate per noi.

*Beata Altrude da Roma - Vergine, Terziaria Francescana (22 Giugno)
+ 1280 ca.
Nella Vita della Beata Margherita Colonna si racconta che, essendo venuta a Roma col fratello cardinale per venerare le reliquie degli Apostoli, volle visitare una santa donna di nome Altrude, che viveva consacrata a Dio nella propria casa con l'abito del Terz'Ordine di San Francesco, e restò ammirata delle sue virtù.
Altrude morì circa il 1280.
La sua festa si celebra il 22 giugno.

(Autore: Germano Cerafogli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Altrude da Roma, pregate per noi.

*Sant’Eusebio di Samosata - Vescovo (22 Giugno)

Sant’Eusebio, vescovo di Samosata, al tempo dell’imperatore ariano Costanzo era solito visitare in incognito, vestito da militare, le chiese di Dio, per confermarle nella fede cattolica. Sotto l’imperatore Valente fu poi esiliato in Tracia, ma ritornata in seguito la pace per la Chiesa fu richiamato dall’esilio sotto l’imperatore Teodosio; finche portò a compimento il suo martirio presso Doliche in Siria, mentre visitava di nuovo le chiese, colpito al capo mortalmente da una tegola scagliatagli addosso da una donna ariana.
Martirologio Romano: A Dülük in Siria, ora in Turchia, Sant’Eusebio, vescovo di Samosata, che, al tempo dell’imperatore ariano Costanzo, vestendosi da soldato, visitava in incognito le Chiese di Dio per rinsaldarle nella fede cattolica; successivamente, sotto l’impero di Valente, fu relegato in Tracia, ma, ritornata la pace per la Chiesa, fu richiamato dall’esilio al tempo dell’imperatore Teodosio; infine, mentre era di nuovo in visita alle Chiese, morì martire colpito al capo da una tegola lanciatagli contro dall’alto da una donna ariana.
Fu uno dei più zelanti difensori dell'ortodossia nel IV sec. Non si sa quando fu nominato vescovo di Samosata nella Siria Eufratese, perché non appare nella storia prima dell'elezione di Melezio
al seggio patriarcale di Antiochia (360-61), elezione per cui egli aveva fermamente lavorato. Egli passava allora per ariano, ma era ortodosso nel cuore e lo mostrò bene quando l'imperatore Costanzo gli fece richiedere il processo verbale dell'elezione di Melezio, che a lui era stato rimesso; Eusebio rifiutò per ben mostrare la sua adesione al nuovo patriarca. Nel 370 sostenne San Basilio e riuscì a farlo nominare vescovo di Cesarea. Da allora, ebbe stretta relazione con lui per la loro azione comune in favore della fede di Nicea.
Si hanno ventidue lettere indirizzategli da s. Basilio (PG, XXXI, coll. 303-996, nn. 27, 30, 31, 34. 48, 96, 98, 100, 127, 128, 136, 138, 141, 145, 162, 166, 167, 198, 237, 239, 261, 268). Fu pure in relazione con s. Gregorio di Nazianzo, che gli scrisse cinque lettere (PG, XXXVII, coll. 87-129, nn. 42, 44, 64, 65, 66) : due di queste lettere sono state pure pubblicate dal Bedjan nella loro versione siriaca (AMS, VI, pp. 377-80). La sua lotta contro lo arianesimo lo fece esiliare in Tracia dall'imperatore Valente (374). Alla morte del persecutore (378) rientrò nella sua città episcopale che gli era rimasta fedele, malgrado l'intrusione di Eunomio.
Percorse allora la Siria del Nord per combattere l'eresia e fare nominare dei vescovi ortodossi; quando arrivò a Doliché, una donna ariana gli gettò un mattone sulla testa; morì per la ferita domandando grazia per la sua assassina (22 giug. 380).
I greci lo festeggiano in questo giorno.
I diversi calendari della Chiesa di Antiochia lo celebrano egualmente al 22 haziràn (giugno) e con la menzione « martirizzato dagli Ariani ».
È da notare a questo proposito che una Vita siriaca di Eusebio è stata pubblicata dal Bedjan da un manoscritto del British Museum (add. 12174). Viene ricordato al 21 giug. nel Martirologio Romano; non si hanno suoi scritti.

(Autore: Raymond Janin – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant’Eusebio di Samosata, pregate per noi.

*Sant'Everardo di Salisburgo - Vescovo (22 Giugno)

+ Reun, Germania, 21 giugno 1164
Originario della nobile famiglia dei Biburger, Everardo compì gli studi ecclesiastici a Bamberga. Nel 1133 la sua famiglia fondò il monastero di Biburg, riservandone la dignità abbaziale per Everardo, il quale dapprima rifiutò la carica, che in seguito gli venne attribuita da papa Innicoenzo II.
Nel 1147 fu eletto arcivescovo di Salisburgo. Allorché nel 1159, dopo l’elezione di Alessandro III, Federico Barbarossa favorì l’antipapa Vittore IV, Everardo si schierò apertamente per il papa legittimo, di cui in seguito divenne legato. Morì nel monastero di Reun il 21 giugno 1164.
L’Ordine Benedettino lo festeggia il 22 giugno.
Everardo apparteneva alla nobile famiglia dei Biburger; dalla madre, che con le proprie mani aveva preso parte alla costruzione della chiesa del pellegrinaggio di Allersdorf, aveva ereditato una grande devozione alla Beata Vergine.
Avendo ricevuto un canonicato a Bamberga, compì in quella città gli studi ecclesiastici. Tentò di entrare nell'abbazia di S. Michele, ma, appena ricevuto, fu fatto uscire per forza. Continuò gli
studi a Parigi. Quando era ormai sulla quarantina, ottenne dal vescovo Ottone di abbracciare la vita monastica a Prufening. Nel 1133 la sua famiglia fondò il monastero di Biburg, riservandone la dignità abbaziale per Everardo la cui virtù lo raccomandava a questa carica: egli, però, rifiutò di ricevere la benedizione abbaziale, fino a quando, nel 1138, durante un viaggio a Roma col vescovo di Bamberga, gliela conferì il Papa Innocenzo II.
L'11 maggio 1147 fu eletto arcivescovo di Salisburgo. Allorché, nel 1159, dopo l'elezione di Alessandro III, Federico Barbarossa, e con lui la maggior parte dei vescovi tedeschi, favorirono l'antipapa Vittore IV, Eveerardo prese apertamente partito per il papa legittimo, senza tuttavia separarsi dall'imperatore, di cui rispettava il potere politico. Federico cercò a più riprese di guadagnare il prelato alla sua causa: a questo fine, nel 1162, dopo la sua entrata trionfale a Milano, lo fece venire in Italia, ma Everardo seppe difendere così bene il suo atteggiamento che Federico lo lasciò ritornare nella sua diocesi.
Divenuto legato del Papa, Everardo non riuscì a riconciliare il Barbarossa con Alessandro III. Facendo ritorno dalla Stiria, dove aveva assicurato la pace fra il capo militare di Leubnitz e il duca Ottocaro, fu costretto a fermarsi nel monastero di Reun, dove morì il 21 giugno 1164.
Il cardinale arcivescovo Burcardo di Weisspriach aveva cominciato le pratiche per il processo di canonizzazione, ma esse furono interrotte alla sua morte nel 1466.  Everardo aveva la sua Messa e il suo Ufficio a Salisburgo fino all'introduzione del Breviario romano nel 1598. Quell'anno il duomo fu distrutto da un incendio e le reliquie che erano state messe al sicuro non furono più ritrovate. La memoria del santo si trova nel Martirologio benedettino il 22 giugno.  Il Santo è raffigurato sui fonti battesimali del duomo di Salisburgo, che data dal 1321.

(Autore: Rombaut Van Doren – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Everardo di Salisburgo, pregate per noi.

*San Flavio Clemente - Console e Martire (22 Giugno)
Nel 1725 furono ritrovate, nella chiesa di San Clemente Papa al Laterano, alcune sue presunte reliquie.
Flavio Clemente era nipote dell’imperatore Vespasiano e marito di Flavia Domitilla (omonima della santa citata nel Martirologio Romano alla data 22 giugno).

Martirologio Romano: A Roma, commemorazione di San Flavio Clemente, martire, che dall’imperatore Domiziano, di cui era stato collega nel consolato, fu ucciso con l’accusa di ateismo, ma in realtà per la sua fede in Cristo.
La famiglia dei Flavi, a cui appartenne Flavio Clemente, era originaria probabilmente di Rieti. Il valore, la capacità l'intraprendenza di alcuni suoi membri consentirono a questi provinciali, non appartenenti all'antica aristocrazia, il raggiungimento, a metà del sec. I, delle più alte cariche dello Stato. Flavio Vespasiano, poi, venne proclamato imperatore nel 69 iniziando la dinastia dei Flavi.
Flavio Clemente, figlio di Flavio Sabino, fratello dell'imperatore Vespasiano, poté egli pure raggiungere altissime cariche essendo stato proclamato console nel 95. Aveva sposato una parente, Flavia Domitilla, da cui ebbe sette figli, due dei quali, destinati alla successione imperiale, giacché il cugino Domiziano, succeduto a Tito nell'81, era senza prole.
Le fortune della famiglia vennero però improvvisamente troncate da Domiziano. Infatti, negli ultimi anni del suo impero, divenuto quanto mai sospettoso e crudele, fece eliminare molte persone, ritenute a lui avverse. Iniziò anche una persecuzione contro i giudei e i cristiani, quantunque non si sappiano precisare esattamente i motivi addotti per la condanna di questi ultimi.
Anclie Flavio Clemente venne coinvolto nella persecuzione domizianea. La grande maggioranza degli storici ritiene che egli sia caduto in disgrazia perché aveva fatto professione di Cristianesimo.
Sia Svetonio, sia Dione Cassio parlano esplicitamente di condanna, maper il motivo usano espressioni molto generiche. Il testo di Svetonio dice: «Denique Flavium Clementem patruelem suum, contemptissimae inertiae... repente ex tenuissima suspicione tantum non ipso eius consulatu interernit» (Domit., 15, 1).
A sua volta Dione Cassio riferisce: «in questo anno (95) Domiziano mandò a morte con molti altri, Flavio Clemente, allora console, benché fosse suo cugino e avesse in moglie Flavia Domitilla, sua parente. Tutti e due furono condannati per il delitto di ateismo.
Secondo questi capi di accusa furono condannati molti altri, che avevano seguito i costumi giudaici: alcuni furono uccisi, altri puniti con la confisca dei beni» (Historia romana, LXVII, 13-14).
Come si vede nessun accenno al Cristianesimo; ma dalle fonti contemporanee sappiamo che i cristiani per la loro vita riservata erano ritenuti quasi degli ignavi (contemplissimae inertiae di Svetonio) e soprattutto furono accusati di ateismo, come attestano gli apologisti cristiani.
Può darsi che Flavio Clemente non volendo compiere un atto di culto pagano abbia dato a Domiziano il motivo per condannarlo.
Nell'antichità non c'è menzione di culto; al 9 novembre il Martirologio Geronimiano elenca un Clemente che, peraltro, difficilmente può essere identificato con Flavio Clemente. Nel 1725 furono scoperte nella basilica di San Clemente al Celio delle reliquie che furono credute quelle di Flavio Clemente. Il Martirologio Romano ne ricorda la traslazione il 22 giugno.

(Autore: Gian Dornenico Gordini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Flavio Clemente, pregate per noi.

*San Giovanni Fisher - Vescovo e Martire (22 Giugno)

Beverley, Yorkshire (Gran Bretagna), ca. 1469 - Torre di Londra, 22 giugno 1535
Giovanni Fisher nacque a Beverly nel 1469. Umanista e teologo apprezzato, fu cancelliere dell'università di Cambridge e vescovo di Rochester.
Di lui diceva Erasmo: «Non c'è uomo più colto né vescovo più Santo».
Subì numerose pressioni perché riconoscesse il matrimonio di Enrico VIII con Anna Bolena e l'Atto di Supremazia nel quale il re veniva dichiarato «Capo supremo dopo Cristo della Chiesa d'Inghilterra».
Al suo rifiuto, venne giustiziato il 22 giugno del 1535.
Tommaso Moro nacque a Londra nel 1478.
In gioventù coesistevano in lui l'amore per il chiostro e il desiderio di formare una famiglia.
Prevalse quest'ultima aspirazione.
Si sposò ed ebbe 4 figli, tre femmine e un maschio. Padre affettuoso, ci ha lasciato delle lettere tenerissime dirette alla figlia Margaret.
Ebbe una carriera straordinaria: avvocato, politico e umanista, scrittore e amico di Erasmo, diplomatico e cancelliere del regno.
Tutto ebbe termine quando a sua volta si trovò di fronte alla necessità di dover decidere tra il riconoscimento dell'Atto di supremazia e la sua coscienza.
Optò per quest'ultima affermando: «L'uomo è la sua coscienza e non altro».
Condannato a morte, venne giustiziato il 6 luglio del 1535.
Giovanni Fisher e Tommaso Moro vennero proclamati Santi nel 1935, esattamente 400 anni dopo la loro morte.
Giovanni Paolo II proclamò Tommaso Moro patrono dei politici e dei governanti.

Etimologia: Giovanni = il Signore è benefico, dono del Signore, dall'ebraico
Emblema: Bastone pastorale, Palma
Martirologio Romano: Santi Giovanni Fisher, vescovo, e Tommaso More, martiri, che, essendosi opposti al re Enrico VIII nella controversia sul suo divorzio e sul primato del Romano Pontefice, furono rinchiusi nella Torre di Londra in Inghilterra.
Giovanni Fisher, vescovo di Rochester, uomo insigne per cultura e dignità di vita, in questo giorno fu decapitato per ordine del re stesso davanti al carcere; Tommaso More, padre di
famiglia di vita integerrima e gran cancelliere, per la sua fedeltà alla Chiesa cattolica il 6 luglio si unì nel martirio al venerabile presule.
Lo svegliano in cella: "Sono le 5. Alle 10 sarai decapitato". Risponde: "Bene, posso dormire ancora un paio d’ore".
Questo è Giovanni Fisher, vescovo di Rochester, nella Torre di Londra, estate del 1535.
Un maestro di coraggio elegante (come il suo amico Tommaso Moro, già Gran cancelliere del regno, anche lui nella Torre aspettando la scure).
Figlio di un orefice, Giovanni è stato a Cambridge come studente e poi come promotore del suo sviluppo, aiutato da Margherita di Beaufort, nonna di Enrico VIII.
Sacerdote nel 1491, nel 1514 lascia Cambridge perché nominato vescovo di Rochester, e si dedica solo alla diocesi.
Ma la rivoluzione luterana, con i suoi riflessi inglesi, lo porta in prima fila tra i difensori della Chiesa di Roma, con i sermoni dottrinali e con i libri, tra cui il De veritate corporis et sanguinis Christi in Eucharistia, del 1522, ammirato in tutta Europa per la splendida forma latina.
E fin qui egli si trova accanto a re Enrico, amante della cultura e “difensore della fede”.
Il conflitto scoppia con il divorzio del re da Caterina d’Aragona per sposare Anna Bolena.
E si fa irreparabile con l’Atto di Supremazia del 1534, che impone sottomissione completa del clero alla corona.
Giovanni Fisher dice no al divorzio e no alla sottomissione, dopo aver visto fallire una sua proposta conciliante: giurare fedeltà al re "fin dove lo consenta la legge di Cristo".
Poi un’altra legge, l’Atto dei Tradimenti, è approvata da un Parlamento intimidito, che ha tentato invano di attenuarla: così, chi rifiuta i riconoscimenti e le sottomissioni, è traditore del re, e va messo a morte.
Nella primavera 1534 viene portato alla Torre di Londra Tommaso Moro, e poco dopo lo segue Giovanni Fisher.
Sanno che cosa li aspetta.
E il Papa Paolo III immediatamente no mina Fisher cardinale, sperando così di salvarlo: e invece peggiora tutto.
Re Enrico infatti dice: "Io farò in modo che non abbia più la testa per metterci sopra quel cappello". Come previsto, i processi per entrambi, distinti, finiscono con la condanna a morte.
Ma loro due, da cella a cella e senza potersi vedere, vivono sereni l’antica amicizia e si scambiano lettere e doni: un mezzo dolce, dell’insalata verde, del vino francese, un piatto di gelatina... Sono regali di un loro amico italiano, Antonio Bonvini, commerciante in Londra e umanista.
Alle 10 del 22 giugno 1535, Giovanni Fisher va al patibolo.
Per tre volte gli promettono la salvezza se accetta l’Atto di Supremazia.
Lui risponde con tre affabili no, e muore sotto la scure.
La sua testa viene esposta in pubblico all’ingresso del Ponte sul Tamigi.
Quindici giorni dopo uno dei carnefici la butterà nel fiume, per fare posto alla testa di Tommaso Moro. Nel 1935, in Roma, Papa Pio XI li proclamerà Santi insieme.
E sempre insieme li ricorda la Chiesa.

(Autore: Domenico Agasso – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giovanni Fisher, pregate per noi.

*Santi Giulio e Aronne - Martiri in Bretagna (22 Giugno)

Martirologio Romano: A Caerleon in Galles, Santi Giulio e Aronne, martiri, che subirono la passione dopo Sant’Albano durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano; in quel tempo nello stesso luogo moltissimi cristiani, torturati con supplizi di vario genere e crudelmente dilaniati, terminato il loro combattimento, raggiunsero le gioie della città celeste.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Giulio e Aronne, pregate per noi.

*San Gregorio I di Agrigento - Vescovo (22 Giugno)
Secondo il Gaetano - che ricava la notizia dalla Passione di Sant'Agrippina il cui corpo venne portato in Sicilia e sostò in Agrigento dove fu onorato da San Gregorio I - questo Santo sarebbe vissuto attorno all'anno 262.
Della traslazione delle sue reliquie in Sicilia ci rimane un racconto pubblicato dal Gaetano nel primo volume delle sue "Vitae Sanctorum Siculorum" e poi riportato e annotato dai Bollandisti negli "Acta Sanctorum", vol. IV del mese di giugno.
Secondo questa narrazione, San Gregorio, in Roma, avrebbe assistito e confortato Sant'Agrippina durante il martirio subìto sotto Valeriano e Gallieno; tornato in Agrigento, apprese che tre vergini: Bassa, sorella di Santa Agrippina, Paola e Agatonica erano approdate alla spiaggia con il corpo della martire che intendevano deporre in Mineo.
Egli, con l'arcidiacono e alcuni chierici, vi accorse. Un grande profumo si era sparso dovunque nella zona.
Celebrati i sacri misteri e comunicate le tre vergini, profetizzò loro che avrebbero seguito la Santa nel martirio, cosa che avvenne tre mesi dopo.
Il Calendario della Chiesa Agrigentina commemora San Gregorio il 22 giugno.

(Autore: Raimondo Lentini – Fonte: Domenico De Gregorio, La Chiesa agrigentina – Notizie storiche, vol. I, Agrigento 1996)
Giaculatoria - San Gregorio I di Agrigento, pregate per noi.

*Beato Innocenzo V (Pietro di Tarantasia) – 181° Papa - Domenicano (22 Giugno)
Tarentaise, 1224 - Roma, 1276
(Papa dal 22/02/1276 al 22/06/1276)
Nato in Savoia, Pietro di Tarantasia entrò poco dopo i 15 anni nel convento di San Giacomo a Parigi, dove conseguì il magistero in teologia e insegnò brillantemente meritandosi il titolo di “doctor famosissimus”.
Fu due volte priore provinciale di Francia. Nel 1272 è arcivescovo di Lione, e l'anno successivo fu creato cardinale. Nel 1276 venne eletto Papa. Nel suo brevissimo pontificato esplicò un'attività prodigiosa soprattutto nel tentativo di realizzare l'unione con le Chiese separate da Roma.

Martirologio Romano: A Roma in Laterano, beato Innocenzo V, papa, che, dell’Ordine dei Predicatori, insegnò a Parigi la sacra teologia e, ottenuta suo malgrado la sede episcopale di Lione, diresse qui insieme a San Bonaventura un Concilio Ecumenico per l’unità tra i Latini e separati; elevato, infine, alla cattedra di Pietro, esercitò il ruolo di pontefice solo per breve tempo, mostrato alla Chiesa di Roma piuttosto che dato.
Pietro di Tarentaise prese il nome di Innocenzo quando fu eletto Papa. Entrò nell’Ordine ancora fanciullo. Fece grandi progressi nella santità, nel sapere e nella dottrina, tanto da succedere a San Tommaso d’Aquino nella Cattedra di Teologia all’Università di Parigi. Per quasi trent’anni visse al Convento di S. Giacomo di Parigi e, per due volte, fu Provinciale di Francia. Nominato nel 1272 Arcivescovo di Lione, rinunziò alla nomina per lavorare attivamente alla preparazione del Concilio di Lione, riunito nel 1274 da Papa Gregorio X, e al quale doveva intervenire anche San Tommaso d’Aquino. Durante questo Concilio morì San Bonaventura e fu il Cardinale Pietro di Tarentaise che ne intesse l’elogio funebre, strappando lacrime a tutta quella augusta assemblea.
Terminato il Concilio, Pietro dovette seguire il Papa. Durante il viaggio si adoperò a mettere pace tra i Guelfi e i Ghibellini. Morto Gregorio X, durante la sosta ad Arezzo, nel Conclave del gennaio 1276, che si tenne in quella città presso il convento di San Domenico, Pietro fu eletto Papa il giorno 21.
Il novello Pontefice si accinse subito a pacificare l’Italia e si rivolse ai Principi e ai prelati greci e latini per indurli a brandire le armi per riscattare la Terra Santa. Ai confratelli, radunati in
Capitolo, scrisse un’affettuosa lettera nella quale ricordava di aver goduto con loro le delizie della santa povertà. Ma mentre la Chiesa e l’Ordine si aspettavano tanto da lui, in quel medesimo anno in cui fu eletto, dopo pochi mesi, il 22 giugno, mori.
Il suo corpo, sepolto nella Basilica del Laterano, andò disperso nel terremoto del XVIII° secolo. Papa Leone XIII il 14 marzo 1898 ha confermato il culto.
(Autore: Franco Marian)
Lo fanno Papa ad Arezzo, dove appena undici giorni prima è morto Gregorio X. È noto come Pietro di Tarantasia, dal nome della regione nativa, in Savoia. Entrato nell’Ordine domenicano, ha studiato teologia a Parigi da un futuro santo, il tedesco Alberto Magno; e lì studiavano altri due futuri santi italiani: Tommaso d’Aquino, domenicano; e Bonaventura da Bagnoregio, francescano.
Maestro di teologia a sua volta, e predicatore famoso, Pietro di Tarantasia nel 1272 viene nominato arcivescovo di Lione e poi cardinale da Gregorio X, con l’incarico di preparare il secondo Concilio lionese del 1274. Nell’assemblea presieduta dal Pontefice (con più di 500 tra vescovi e abati) una delle figure di punta è lui, insieme a Bonaventura. Ma questi muore a Concilio aperto; Pietro celebra la sua Messa funebre, e un altro lutto rattrista il Concilio: Tommaso d’Aquino muore durante il viaggio verso Lione.
L’assemblea affronta il problema dell’usura, decretando la scomunica degli strozzini e di chi affitta loro i locali. Accoglie una delegazione non cristiana, venuta dal regno dei Tartari; e Pietro di Tarantasia battezza due delegati. Si occupa della disciplina negli Ordini religiosi e dell’elezione del Papa. Inoltre, davanti al Papa e al Concilio, il Patriarca di Costantinopoli, e i vescovi arrivati con lui, cantano il Credo cattolico, rinnegano lo scisma del 1054 e riconoscono il primato del Papa. È il momento più alto del Concilio. Ma resterà un momento.
Terminati i lavori nel luglio 1274, Gregorio X si ammala, e viene curato da un medico che è anche cardinale: il portoghese Pietro Ispano (che più tardi sarà Papa col nome di Giovanni XXI). Poi si avvia verso l’Italia. Ma non rivedrà più la sua sede romana: muore ad Arezzo il 10 gennaio del 1276. Undici giorni dopo, ecco il successore: è Pietro di Tarantasia, che prende il nome di Innocenzo V. Per l’elezione, i cardinali si sono chiusi in un luogo isolato: nel “conclave”, appunto, come ha deciso il Concilio di Lione con la costituzione Ubi periculum. E come si farà nei secoli successivi.
Papa Innocenzo V raggiunge subito la Sede romana, con un programma ispirato al Concilio: rafforzare la pace con l’Oriente, disciplinare gli Ordini religiosi, togliere Gerusalemme ai Turchi. Ma in Oriente la pace religiosa di Lione viene subito respinta: nemici come prima. Poi, come tanti altri Pontefici prima e dopo, Innocenzo è capo della Chiesa, ma anche sovrano di un territorio. E come capo della Chiesa cerca l’amicizia e l’aiuto dell’imperatore Michele per la crociata. Ma come capo di uno Stato deve invece proteggere e favorire il peggior nemico di Michele: Carlo d’Angiò re di Sicilia; malfido personaggio, ma anche il solo in Italia che abbia un esercito capace di difendere i territori del Papa. O di aggredirli, al caso.
Uomo di mediazione, Innocenzo si impegna per pacificare le città italiane divise tra guelfi e ghibellini, e ottiene alcuni buoni risultati in Toscana. Poi rifiuta l’appoggio a una coalizione di prìncipi d’Europa e di Grecia contro l’imperatore Michele. E anzi resta fiducioso nella pacificazione tra le Chiese, inviando istruzioni a Costantinopoli per la predicazione e la liturgia. Questa lettera è datata 25 maggio 1276: il 22 giugno lui è già morto.
Viene seppellito in San Giovanni in Laterano, ma i resti andranno poi dispersi. Nel 1898 Leone XIII gli riconoscerà il titolo di Beato.

(Autore: Domenico Agasso - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Innocenzo V, pregate per noi.

*San Niceta di Aquileia - Vescovo (22 Giugno)

+ Aquileia, 485 circa
Dopo la devastazione di Aquileia per opera di Attila (452), il vescovo Niceta concorse in maniera vigorosa ed efficace a sanare i mali sopravvenuti e a riorganizzare la Chiesa e la società aquileiese. Ci rimane notizia dei consigli datigli dal Papa Leone I° per risolvere le situazioni morali incresciose conseguenti all’incursione attilana : la risposta del Papa doveva servire di norma per tutti i vescovi legati alla Chiesa di Aquileia. Niceta morì verso il 485, lasciando fama di saggio e buon pastore.
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: Commemorazione di San Niceta, vescovo di Remesiana in Dacia, nell’odierna Serbia, che San Paolino da Nola celebra in un suo carme per aver insegnato il Vangelo ai barbari rendendoli come pecore condotte in un ovile di pace e perché coloro che un tempo  erano una popolazione incolta e dedita alle ruberie avevano ora imparato a far risuonare Cristo in un cuore romano.
Remesiana, ora Bela Palanka, ad una quarantina di Km. a Sud-Est di Nisch (Naissus) in Serbia, sull'importante via di comunicazione tra Belgrado (Singidunum), Sofia (Sardica) e Costantinopoli, apparteneva all'antica Dacia Mediterranea, politicamente riunita da Teodosio all'Oriente (379), ma ecclesiasticamente dipendente dal patriarcato di Roma, e costituiva un punto d'incontro tra le lingue e le culture greca e latina.
Le fonti della Vita di Niceta sono: s. Paolino di Nola (Ep. 29. 14; Carmi, 17 e 27); Gennadio (De vir. ill., 22); Cassiodoro (De instit. divin. litterarum, 16).
La figura di Niceta di Remesiana è rimasta incerta nella tradizione, perché talora confusa con quelle dell'omonimo vescovo di Aquileia (454-485) e di Nicezio di Treviri (527-566). L'orientamento attuale, che identifica il Niceta menzionato da Gennadio con l'apostolo della Dacia cantato da San Paolino e non con il vescovo di Aquileia, come voleva il Braida nella sua ed. degli scritti di N. (Udise 1810; v. la sua Dissertatio in S. Nicetam, in PL, LII, coli. 875-1134), è dovuto agli studi di G. Morin, i cui risultati furono confermati da A. E. Burn nell'ampio studio introduttivo all'ed. degli scritti del Santo.
L'episcopato di Niceta si protrasse per ca. cinquant’anni: era già vescovo nel 366-367, perché è nominato tra i destinatari di una lettera inviata da Germinio di Sirmium (Mitrovitza) ai vescovi della regione (PL, XIII, col. 573) ed è ancora destinatario d'una lettera di Innocenzo I del 414 (ibid., XX, col. 526).
San Paolino informa che « il venerato e dottissimo vescovo venne a Roma dalla Dacia e fu meritamente ammirato dai Romani» (Ep. 29, 14). A Roma, venne almeno due volte, nel 398 e nel 402 e fu anche a Nola a visitare il sepolcro di San Felice e l'allora Santo sacerdote Paolino (vescovo nel 409). Questi, dopo la prima visita, dedicò a Niceta che partiva un carme d'accompagnamento (propempticon) in ottantacinque strofe saffiche (carme 17, ed. Har-tel, in CSEL, 30, pp. 81 sgg.).
Questo carme, assieme al carme 27, è fonte, quasi unica, per tratteggiare la figura e l'opera di Niceta, evangelizzatore, fondatore di monasteri tra i barbari, Santo di fede adamantina e di profonda pietà, tutto permeato di spirito romano. Cantando il viaggio di Niceta, Paolino nomina i popoli ai quali il santo vescovo predicò il Vangelo, in regioni molto più vaste della sua circoscrizione episcopale: Daci, Geti, Bessi e Sciti, i quali ora «attendono il loro padre, come il campo riarso attende la pioggia o il vitello le poppe materne». «Sotto la guida di Niceta, i Bessi, più duri del loro ghiaccio, sono diventati miti pecorelle e si sono radunati in una pacifica coabitazione». «Monti, prima impervii e insanguinati, ospitano ora ladroni convertiti, che imparano dai monaci pensieri di pace». «In una squallida regione del mondo (la Dacia) i rozzi abitanti imparano a cantare le lodi di Cristo con cuore romano». Opera dunque di civilizzazione e
di cristianizzazione nello spirito romano, che caratterizza Niceta « vero Israelita senza frode, che vede Dio con l'occhio d'una granitica fede».
Nel 402 la festa di San Felice fu rallegrata a Nola dalla presenza del santo vescovo dei Daci. San Paolino dedica il carme 27 (ed. Hartel, CSEL, 30, pp. 262 sgg.) a questo giorno doppiamente festivo, e per il glorioso transito di San Felice e per il ritorno di Niceta, «la cui vita è tutta purezza e la cui anima splende di limpide verità, fiori ed aromi di Cristo». Dopo avere tessuto l'elogio del dotto maestro, la cui presenza conferisce a lui ispirazione, Paolino prende affettuosamente per mano « il padre santo » e lo conduce a visitare le nuove costruzioni erette in onore di San Felice. Gennadio, parlando delle opere di Niceta (De vir. ill., 22), nomina «sei libretti d'istruzione ai catecumeni, composti con stile nitido e semplice» e ne indica il contenuto. Del libro I, che trattava della condotta che devono tenere i candidati al Battesimo, sono pervenuti sino a noi tre brevi frammenti, e due del libro II, che parlava degli errori del paganesimo (PL, LII, coli. 873-76). Dovevano formare il III libro i due scritti scoperti e pubblicati nel 1827 da Angelo Mai, De rottone fidei (in cui difende la consustanzialità del Figlio contro gli Ariani) e De Spiritus Sancti potentia (in cui è difesa la consustanzialità dello Spirito Santo; ibid., LII, coll. 847-64). Il libro IV, nel quale si combatteva la pratica degli oroscopi, è andato perduto.
E pervenuto intero il libro V, Explanatio symboli, un'importante spiegazione del simbolo, che caratterizza il metodo catechetico di Niceta. Vi troviamo una delle più antiche testimonianze dell'articolo "la comunione dei santi" (ibid., LII, coll. 865-74). Il libro VI, che trattava della «vittima pasquale», finora non è stato identificato con sicurezza tra gli scritti pervenuti sino a noi.
Cassiodoro loda la chiarezza e brevità dell'esposizione di Niceta. Dopo avere elencato gli autori che scrissero intorno alla Trinità, cioè Ilario, Ambrogio e il sommo Agostino « che scrisse con ammirevole profondità i suoi quindici libri», prosegue: «Chi vuole avere una conoscenza della Trinità in breve sintesi, senza stancarsi con una lunga lettura, legga il libro del vescovo Niceta Intorno alla fede; e, ripieno del fulgore d'una dottrina celeste, sarà guidato, con proficua brevità, a contemplare Dio» (De instit. divin. litterarum, 16, in PL, LXX, col. 1132).
Gennadio nomina ancora un libretto Ad lapsam virginem, identificato da alcuni con lo scritto pseudo-ambrosiano De lapsu virginis consecmtae (ibid., XVI, coll. 383-400). S'aggiungono a queste opere due discorsi: De vigiliis servorum Dei e De Psalmodiae bono (o De utilitate hymnorum), già pubblicati sotto il nome di Nicezio di Treviri (ibid., LXVIII, coll. 365-76) e il primo anche tra le lettere apocrife di s. Girolamo (ibid., XXX, coll. 239-46); ed un breve trattato De diversis appellationibus [Christi] (ibid., LII, coll. 863-66).
Il Te Deum è stato attribuito a Niceta, Ambrogio, Ilario, Agostino ed altri: ma nessuno degli argomenti addotti è assolutamente decisivo per la scelta (cf. A. E. Bum, The Te Deum and its author, Londra 1926, trad. in ted. da O. Wissing, Kassel 1930; E. Kahler, Studien zum Te Deum, Gottinga 1958).
Gli scritti di Niceta non hanno carattere speculativo, mirano allo sviluppo della vita cristiana e ci danno dell'autore una rappresentazione conforme a quella delineata nei carmi del suo grande amico San Paolino di Nola: un santo vescovo, pieno di zelo apostolico.
Quantunque vissuto in una regione soggetta all'impero d'Oriente, Niceta manifesta una mentalità schiettamente latina e romana. Un'iscrizione pervenuta mutila dice che la chiesa di Remesiana era dedicata ai ss. Apostoli Pietro e Paolo e a tutti i santi (cf. A. J. Hevans, Antiquariati researches in Illi-ricum, III, IV, in Archeologia, XLIX, Londra 1885, p. 163): testimonianza della romanità di questa comunità cristiana della Dacia.
Il nome di Niceta, vescovo latino in una regione soggetta ai Greci, non entrò nei sinassari e menologi della Chiesa bizantina, quantunque teologi russi lo nominino con venerazione (v. di M. Jetvic, una serie di articoli in Pregled [rivista della eparchia di Nisch], XVIII [1937] e XIX [1938]). Anche in Occidente sono scarse le notizie conservate; un'antica istruzione per i catechizzandi (cod. lat. Monacensis 6325, del sec. IX) annovera Niceta tra i Dottori della Chiesa e lo pone tra Sant’ Ilario e San Girolamo. Il Martirologio Romano (Bruxelles 1940, p. 9) al giorno 7 gennaio annota: «In Dacia sancti Nicetae episcopi, qui feras et barbaras gentes evangelii praedicatione mites reddidit ac mansuetas». La notizia viene ripetuta, in forma un po’ variata, al 22 giugno e i Bollandisti nel loro Commento concludono: «De Nicetae natali nihil traditum est neque omnino de eius veneratione apud antiquos» (p. 250).

(Autore: Guido Bosio – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Niceta di Aquileia, pregate per noi.

*San Paolino di Nola - Vescovo (22 Giugno)  
Burdigala (Bordeaux), Francia, 355 - Nola, Napoli, 431
Discendeva da ricca famiglia patrizia romana (nacque nel 355 a Bordeaux, dove il padre era funzionario imperiale) e favorito nella carriera politica da amicizie altolocate, divenne «consul suffectus», cioè sostituto, e governatore della Campania.
Incontrò il vescovo Ambrogio di Milano e il giovane Agostino di Ippona, dai quali fu avviato alla fede cristiana. Ricevuto il battesimo verso i venticinque anni, durante un viaggio in Spagna conobbe e sposò Therasia.
Dopo la morte prematura dell'unico figlioletto, Celso, entrambi si dedicarono interamente all'ascesi cristiana, sul modello di vita monacale orientale.
Così, di comune accordo distribuirono le ingenti ricchezze ai poveri, e si ritirarono nella Catalogna, deve venne ordinato prete.
A Nola, poi, diede inizio alla costruzione di un santuario, ma si preoccupò anzitutto di erigere un ospizio per i poveri, adattandone il primo piano a monastero, dove si ritirò con Therasia e alcuni amici.
Nel 409 fu eletto vescovo di Nola. Morì a 76 anni, nel 431. (Avvenire)

Etimologia: Paolino = piccolo di statura, dal latino
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: San Paolino, vescovo, che, ricevuto il battesimo a Bordeaux e lasciato l’incarico di console, da nobilissimo e ricchissimo che era si fece povero e umile per Cristo e, trasferitosi a Nola in Campania presso il sepolcro di San Felice sacerdote per seguire da vicino il suo esempio di vita, condusse vita ascetica con la moglie e i compagni; divenuto vescovo, insigne per cultura e santità, aiutò i pellegrini e soccorse con amore i poveri.
I cuori votati a Cristo respingono le Muse e sono chiusi ad Apollo", così scriveva Paolino al maestro Decimo Magno Ausonio, che lo aveva iniziato alla retorica e alla poetica.
Paolino era stato un giovane dal temperamento d'artista.
Discendeva da ricca famiglia patrizia romana (nacque nel 355 a Bordeaux, dove il padre era funzionario imperiale) e favorito nella carriera politica da amicizie altolocate, divenne "consul suffectus", cioè sostituto, e governatore della Campania.
Ebbe anche la ventura di incontrare il vescovo Ambrogio di Milano e il giovane Agostino di Ippona, dai quali fu avviato sulla strada della conversione a Cristo.
Ricevuto il battesimo verso i venticinque anni, durante un viaggio in Spagna conobbe e sposò Therasia.
Dopo la morte prematura dell'unico figlioletto, Celso, entrambi decisero di dedicarsi interamente all'ascesi cristiana, sul modello di vita monacale in voga in Oriente.
Così, di comune accordo si sbarazzarono delle ingenti ricchezze che possedevano un po' ovunque, distribuendole ai poveri, e si ritirarono nella Catalogna per dare inizio ad un'originale esperienza ascetica.
Paolino era ormai sulla quarantina. Conosciuto e ammirato nell'alta società, era amato ora anche dal popolo, che a gran voce chiese al vescovo di Barcellona di ordinarlo sacerdote.
Paolino accettò con la clausola di non essere incardinato tra il clero di quella regione. Declinò anche l'invito di Ambrogio, che lo voleva a Milano.
Paolino accarezzava sempre l'ideale monastico di una vita devota e solitaria.
Infatti si recò quasi subito in Campania, a Nola, dove la famiglia possedeva la tomba di un martire, San Felice.
Diede inizio alla costruzione di un santuario, ma si preoccupò anzitutto di erigere un ospizio per i poveri, adattandone il primo piano a monastero, dove si ritirò con Therasia e alcuni amici in "fraternitas monacha", cioè in comunità monastica.
I contatti con il mondo li manteneva attraverso la corrispondenza epistolare (ci sono pervenute 51 lettere) con amici e personalità di maggior spicco nel mondo cristiano, tra cui appunto Agostino.
Per gli amici buttava giù epitalami e poesie di consolazione.
Ma a porre termine a quella mistica quiete, nel 409, sopraggiunse l'elezione a vescovo di Nola. Si stavano preparando per l'Italia anni tempestosi.
Genserico aveva passato il mare alla testa dei Vandali e si apprestava a mettere a sacco Roma e tutte le città della Campania.
Paolino si rivelò un vero padre, preoccupato del bene spirituale e materiale di tutti. Morì a 76 anni, nel 431, un anno dopo l'amico Sant’Agostino.

(Autore: Piero Bargellini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Paolino di Nola, pregate per noi.

San Tommaso Moro - Martire (22 Giugno)

Londra, 1478 - 6 luglio 1535
Tommaso Moro è il nome italiano con cui è ricordato Thomas More (7 febbraio 1478 - 6 luglio 1535), avvocato, scrittore e uomo politico inglese.
More ha coniato il termine «utopia», indicando un'immaginaria isola dotata di una società ideale, di cui descrisse il sistema politico nella sua opera più famosa, «L'Utopia», del 1516.
È ricordato soprattutto per il suo rifiuto alla rivendicazione di Enrico VIII di farsi capo supremo della Chiesa d'Inghilterra, una decisione che mise fine alla sua carriera politica conducendolo alla pena capitale con l'accusa di tradimento.
Nel 1935, è proclamato santo da Papa Pio XI; dal 1980 è commemorato anche nel calendario dei Santi della chiesa anglicana (il 6 luglio), assieme all'amico John Fisher, vescovo di Rochester, decapitato quindici giorni prima di Moro.
Nel 2000 San Tommaso Moro venne dichiarato patrono degli statisti e dei politici da Papa Giovanni Paolo II. (Avvenire)

Patronato: Avvocati
Etimologia: Tommaso = gemello, dall'ebraico
Emblema: Palma
Martirologio Romano: Santi Giovanni Fisher, vescovo, e Tommaso More, martiri, che, essendosi opposti al re Enrico VIII nella controversia sul suo divorzio e sul primato del Romano Pontefice, furono rinchiusi nella Torre di Londra in Inghilterra.
Giovanni Fisher, vescovo di Rochester, uomo insigne per cultura e dignità di vita, in questo giorno fu decapitato per ordine del re stesso davanti al carcere; Tommaso More, padre di
famiglia di vita integerrima e gran cancelliere, per la sua fedeltà alla Chiesa cattolica il 6 luglio si unì nel martirio al venerabile presule.
(6 luglio: A Londra in Inghilterra, passione di San Tommaso More, la cui memoria si celebra il 22 giugno insieme a quella di san Giovanni Fisher).
Dicono che tutti gli uccelli di Chelsea (all’epoca sobborgo rurale di Londra) scendano a sfamarsi nel suo tranquillo giardino.
Un indice della sua fama di uomo sereno e accogliente.
Thomas More (questo il nome inglese), figlio di magistrato, è via via avvocato famoso, amministratore di giustizia nella City, membro del Parlamento.
Dalla moglie Jane Colt ha avuto tre figlie e un figlio; alla sua morte, si risposa con Alice Middleton.
Ha imparato a Oxford l’amore per i classici antichi e lo condivide con Erasmo da Rotterdam, spesso ospite in casa sua.
Scrive la vita dell’umanista italiano Giovanni Pico della Mirandola; ma sarà più famoso il suo dialogo Utopia, col disegno di una società ideale, governata dalla giustizia e dalla libertà.
É un umanista che porta il cilicio, che studia i Padri della Chiesa e vive la fede con fermezza e gioia.
Quando Lutero inizia la sua lotta contro Roma, il re Enrico VIII d’Inghilterra scrive un trattato in difesa della dottrina cattolica sui sacramenti, ricevendo lodi da papa Leone X e accuse da Lutero.
A queste risponde Tommaso Moro, che Enrico stima per la cultura e l’integrità. Spesso lo consulta, gli affida missioni importanti all’estero.
E nel 1529 lo nomina Lord Cancelliere, al vertice dell’ordinamento giudiziario.
Un posto altissimo, ma pericoloso.
Siamo infatti alla famosa crisi: Enrico ripudia Caterina d’Aragona (moglie e poi vedova di suo fratello Arturo), sposa Anna Bolena, e giunge poi a staccare da Roma la Chiesa inglese, di cui si proclama unico capo.
Per Tommaso Moro, la fedeltà esige la sincerità assoluta col re: anche a costo di irritarlo, pur di non mentirgli.
E così si comporta. La fede gli vieta di accettare quel divorzio e la supremazia del re nelle cose di fede.
Lo pensa, lo dice, perde il posto e si lascia condannare a morte senza piegarsi.
Incoraggia i familiari che lo visitano nella prigione della Torre di Londra e scrive cose bellissime in latino a un amico italiano che vive a Londra, il mercante lucchese Antonio Bonvisi: "Amico mio, più di ogni altro fedelissimo e dilettissimo... Cristo conservi sana la tua famiglia".
Bonvisi gli manda in prigione cibi, vini e un abito nuovo per il giorno dell’esecuzione (ma non glielo lasceranno indossare).
Davanti al patibolo, è cordiale anche col boia che dovrà decapitarlo: "Su, amico, fatti animo; ma guarda che ho il collo piuttosto corto", e gli regala una moneta d’oro.
Poi, venuto il momento, dice alcune parole. "Poche", gli hanno raccomandato: e poche sono.
Tommaso Moro invita a pregare per Enrico VIII, "e dichiarò che moriva da suddito fedele al re, ma innanzitutto a Dio".
Quindici giorni prima, per le stesse ragioni, è stato decapitato il suo amico John Fisher, vescovo di Rochester, che sarà canonizzato insieme a lui da Pio XI nel 1931.
Ora la Chiesa li ricorda entrambi nello stesso giorno.  

(Autore: Domenico Agasso – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Tommaso Moro, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (22 Giugno)

*xxx
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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